4 settembre 1937. Le sette ragazze furono sballottate qua e là per parecchie ore lungo i sentieri di montagna, prima di arrivare a destinazione. Quando finalmente si fermarono e il maggiordomo le fece uscire, avevano i capelli arruffati, i vestiti spiegazzati e la schiena dolorante. Josette, poco abituata a rimanere per molto tempo pigiata dentro a una carrozza assieme ad altre sei persone, appena il maggiordomo aprì la portiera fu la prima a uscire, lanciandosi fuori. Si inginocchiò e baciò la terra, felice di aver ritrovato il suo amato spazio vitale. Senza dire una parola, il maggiordomo fece cenno alle ragazze di prendere le loro rispettive valigie e di seguirlo. Dopo pochi passi nel boschetto, arrivarono a un lugubre edificio: l’orfanotrofio. Era un castello in stile gotico di pietra grigia, con molte torri. Sotto il tetto di pietra nera sporgevano numerosi e spaventosi gargoyle. Sulla facciata anteriore c’era un enorme portone di legno massiccio sovrastato da due gigantesche finestre. Sotto, una scalinata di granito dello stesso colore dei muri. Tutt’intorno c’era il cortile, se così lo si poteva chiamare. Era una piccola distesa di erba secca e nera, che pareva essere stata incenerita da un incendio. Gli unici vegetali presenti erano una mezza dozzina di arbusti rinsecchiti e una decina di alberi curvi su sé stessi con la corteccia marcia e i rami piegati verso il basso grondanti foglie secche. Dietro all’orfanotrofio c’era un’enorme cattedrale sempre in stile gotico, dalla quale proveniva un lugubre suono d’organo. Il tutto era circondato da un alto muro grigio sovrastato da una ringhiera di spuntoni di ferro vicini tra loro per non far fuggire nessuno e all’ingresso c’era un enorme cancello di ferro battuto nero sopra il quale c’era scritto a grandi lettere e in corsivo “Orfanotrofio Marie Blanche Lebraque”. Le ragazze rabbrividirono. Come se avesse sentito la loro presenza, il cancello si spalancò cigolando. Nello stesso momento, da dietro la cattedrale si levò uno stormo di corvi gracchianti. Marie alzò lo sguardo e notò un fenomeno decisamente paranormale: quel giorno c’era il sole, ma proprio sopra all’orfanotrofio c’era una nuvolaglia grigia che si interrompeva dove iniziava il bosco. Anche Lisette e Josette se n’erano accorte, infatti abbracciarono impaurite le braccia della loro sorella maggiore. Il maggiordomo le spinse dentro con delicatezza e fece cenno alle altre di seguirle. La comitiva attraversò il cortile. L’organo aveva smesso di suonare e l’unico rumore che si sentiva era lo scricchiolio dell’erba secca sotto i loro piedi. Sembrava che non ci fosse nessuno.

Sembrava un luogo infestato da fantasmi silenziosi, non abitato da bambine orfane di tutte le età.

Nessuno strillo di felicità, nessuna risata, nessun grido di una suora che cercava di riacchiappare una bambina dispettosa. Niente. Il silenzio assoluto. Raggiunsero il portone.

Il maggiordomo prese il batacchio e lo batté tre volte. Immediatamente, il portone si aprì e comparve una suora alta e massiccia, con la faccia rossa e ingrugnita. Lisette sussurrò a Marie, ridacchiando: -Sembra un maiale! -. -Zitta! -le intimò subito la sorella, mettendole una mano sulla bocca. Lisette allora la leccò e Marie fece un salto enorme e urlò: -Stupida! -. La suora alzò un sopracciglio. -Non dicevo a lei…ehm… -. La suora si voltò e disse: -A quanto pare tra le nuove arrivate c’è un’altra piccola peste! Santo cielo, come siamo messi bene… -e alzò le braccia al cielo.

La comitiva entrò, Marie per ultima, rossa di vergogna, mentre Lisette se la rideva sotto ai baffi.

Arrivò un’altra suora, magra e pallida, l’opposto esatto della suora che aveva aperto, che chiuse il portone. La suora grossa condusse la comitiva in un corridoio buio. Si fermò vicino alle scale, dove una ragazza seduta ad una scrivania scrisse i nomi delle nuove arrivate in un grosso registro.

Dal libro che sto scrivendo, “le avventure di tre sorelle”. Questo è un pezzo del terzo capitolo, che ho scritto già da mesi. Spero vi piaccia 😉

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