Uff…che fatica salire la collinetta! Oramai sono anziana, ho quasi novant’anni, e sebbene io sia arzilla certe scampagnate in collina non fanno più per me. Ma non sono venuta per una semplice passeggiata. Eccolo là, il motivo per cui mi sono spaccata quel che rimane delle mie vecchie ossa: la casa dove ho vissuto fino al 1943. Ormai è vecchia, è un miracolo che non sia stata completamente distrutta dai bombardamenti. Qualcuno ne ha sbarrato porte e finestre, si vede che è invecchiata e la guerra l’ha rovinata ma per il resto sembra essere rimasta proprio come l’avevo lasciata: ci sono ancora i pentolini da lavare sotto la fontanella in giardino, il lavatoio è ancora lì, incredibilmente intatto e ancora con i panni sporchi appoggiati sopra, il giardino ha ancora le piante di pomodoro che amavo coltivare e le margherite con cui facevo ghirlande. Temo però che non potrò vederla da dentro…ma c’è una speranza. Spero non abbiano murato il passaggio segreto da dove entravo in casa con mio fratello quando eravamo in giardino a giocare ed eravamo in ritardo per il pranzo e per far prima e giocare di più usavamo quella porticina…che andava infatti direttamente in cucina. Ma la mamma non se n’è mai accorta. Ah, che bella famiglia era la nostra. Era formata da sette persone: nonna Angela, nata nel 1880 e purtroppo uccisa nel 1944 da un nazista (ubriaco); papà Roberto, avvocato, nato nel 1904; mamma Margherita, insegnante di matematica, nata nel 1906; la mia sorellona Marianna, che tutti però chiamavano Anna, nata nel 1925 ed entrata tra i partigiani nel 1940; mio fratello Amos, nato nel 1929; e infine io, nata alla fine del 1931. Vado in giardino. -Sarà qui da qualche parte… -dico, chinandomi e sfiorando ogni centimetro di muro. E…ops. C’è una parte ricoperta di edera. E se…scosto l’edera ed eccola lì, la porticina! Cavoli di zia Carlotta, me la ricordavo più grande…la apro, mi inginocchio ed entro. Ed eccomi qui, in cucina! -Che buio -dico. Effettivamente, se ci fosse dentro un elefante non lo vedrei sebbene enorme, tanto è profonda l’oscurità che regna nella cucina. –Mia caraaaaa… -sento. –Ehi! Tu! -. La voce è femminile e un po’ cavernosa. “Oddio” penso. “Sento le voci. Mi sto rincretinendo, sono troppo vecchia!”. Infatti è così, mi sto rincretinendo. Capisco che sono io che sto immaginando l’ultima scena che ho visto in cucina. La voce è della nonna. Chiudo gli occhi e ricordo…

-Mia caraaaaa…il pranzo è pronto! -gridò la nonna. -Arrivo! -risposi io entrando dalla porticina. -E dov’è quella peste di Amos? -chiese la mamma. La nonna scorse mio fratello dalla finestra e gridò: -Ehi! Tu! -. A lui si rizzarono i capelli in testa e corse via. Si ripresentò poco dopo in cucina, stando ben attento alla nonna che aveva lo zoccolo in mano a voler dire: “Arriva di nuovo in ritardo e sei un uomo morto!”. Ci sedemmo a tavola e mangiammo con voracità quegli spaghetti che si riusciva a fare con la finta farina che facevamo in casa con le erbette del giardino perché la vera farina non si trovava da nessuna parte, e se c’era costava un occhio della testa. Papà tornò tardi, avevamo già finito di mangiare. -Hanno arrestato Anna -disse trafelato. Mamma si alzò dicendo: -Cosa!? -. Era terrorizzata, ma cercava di non darlo a vedere. Era una donna molto forte. La nonna quasi svenne. Amos cercò di tranquillizzarla. -Grazie al cielo non sono sicuri che sia una partigiana, l’hanno solo scoperta a rimettere a posto una cosa nella borsa di una signora e l’hanno creduta una ladra. La processeranno. Andremo ad abitare vicino alla prigione per sostenerla. E poi qui la casa cade a pezzi. -. La nonna urlò: -IO DA QUI NON ME NE VADO, CHIARO? -. Ma alla fine dovette. Prima della fine della settimana ci trasferimmo.

Guardo la mia casa. Sono fuori, ora. Quanti ricordi. Quante emozioni. È qui che sono nata. È qui che sono nati i miei fratelli. È qui dove la mia famiglia ha vissuto per cinque generazioni. È qui dove ho le radici. La mia casa ha vissuto con i miei antenati e con me. La mia casa vive ancora, e le voglio bene. Mi appoggio al muro e lo abbraccio. Ora sono tutt’uno con la mia casa.

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